Jeff Buckley by Jeff Apter;

Jeff Buckley by Jeff Apter;

autore:Jeff Apter; [Apter, Jeff]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Musica
ISBN: 9788862317573
editore: eDigita srl.
pubblicato: 2015-01-06T23:00:00+00:00


Capitolo sei

Amazing Grace

Jeff Buckley non era un cantautore prolifico. Per tutta la sua breve carriera soffrì sempre di inerzia creativa, scrivendo – come coautore, in alcuni casi – solo una manciata di grandi canzoni, e anche queste ebbero una lunga gestazione. Chi lo seguiva al Sin-é dubitava che fosse in grado di creare dei pezzi completamente originali, sebbene avesse il massimo rispetto per la sua musicalità celestiale, il carisma da palco e la personalità così umile. Anche i membri dello staff della Columbia non erano sicuri di quanti brani Jeff avesse nascosti nella manica della sua camicia scozzese. Una sera Leah Reid era andata al Fez e, seduta vicino a Rebecca Moore, le chiedeva dopo ogni brano: “Era una cover questa? O era un pezzo originale?”. Altri sospettavano che il giovane Buckley mettesse sempre a confronto le sue poche canzoni con quelle di suo padre, un artista libero e prolifico che pubblicò nove album di studio nello stesso tempo impiegato da Axl Rose per trovare un batterista. Lee Underwood, il chitarrista di Tim, che aveva avuto due colloqui tumultuosi con Jeff nel 1989, era chiaramente d’accordo con questa ipotesi, ma credeva ci fosse anche qualcosa di più profondo nell’animo di Jeff.

“Jeff non si era mai sentito sicuro della sua direzione artistica, non solo dopo aver firmato per la Columbia, ma anche prima, e fino alla fine dei suoi giorni” mi ha scritto Lee in un’e-mail nel 2007. “Non conosceva se stesso, non sapeva quale fosse la strada da seguire, perché scegliere una posizione, impegnarsi in un cammino, o anche comporre e incidere con successo una singola canzone erano cose estremamente difficili per lui. Per un verso, la creatività era la sua vocazione. Dall’altro, ogni gesto creativo che gli facesse intravedere un possibile successo lo terrorizzava. Da qui, la sua inerzia creativa, la sua incapacità di scrivere molto, e spesso, la sua incapacità a impegnarsi con ogni prova in studio, l’incapacità di rispettare gli appuntamenti, di arrivare in orario, di trattare con riguardo i dirigenti delle aziende, e anche di completare un secondo disco con successo”.

Mike Webb della Columbia aveva un’opinione completamente diversa, seppur comunque valida. “Jeff era un grande imitatore, e forse questo gli veniva più naturale. Poteva eseguire canzoni di altri come se fossero sue, tirava fuori tutte le emozioni. E quando cantava le sue, forse toccava corde troppo dolorose”. Jeff mise da parte alcuni di questi dubbi cronici, e disse addio a Rebecca Moore quando casualmente entrò al Sin-é un pomeriggio della primavera 1993. L’occasione era la registrazione di The Music Faucet, il programma radiofonico di Nicholas Hill, trasmesso da vivo dal Sin-é. Hill aveva invitato Glen Hansard, che era a New York per una delle sue tante visite, e Vic Chesnutt, l’emblematico cantautore sulla sedia a rotelle. Hill chiese anche a Jeff di venire al Sin-é a suonare, sebbene, mi ha detto, “non era sicuro che Jeff si presentasse”, cosa decisamente tipica. Continua Hill: “Era pomeriggio, e c’era più gente per strada che nella sala”. Era anche



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